La crisi delle banche, come muoversi

La prima parte della presentazione è stata dedicata ai due più comuni strumenti finanziari con cui il risparmiatore può investire i propri risparmi sul mercato finanziario: obbligazioni e azioni. Si sono esposte le più importanti caratteristiche di tali titoli relative al rischio, al rendimento e al profilo finanziario temporale dell’investimento. Per le obbligazioni in particolare si è parlato dei titoli di Stato, cioè di quelle obbligazioni emesse da uno Stato sovrano per finanziare le proprie esigenze di spesa pubblica (BOT, BTP, BTP€i, CCT, CTZ etc… ). Nell’ambito delle differenze tra azioni e obbligazioni, inoltre, si è accennato al diritto di prelazione, cioè alla diversa precedenza riconosciuta a obbligazionisti e azionisti in caso di fallimento della società emittente ad essere rimborsati per quanto investito.

Successivamente si sono voluti fornire alcune nozioni fondamentali per valutare una scelta di investimento: si è mostrata la relazione che intercorre tra il rischio e la remunerazione (incarnata dal il tasso di interesse) di un qualsiasi titolo finanziario; si è data la definizione di volatilità, l’ampiezza cioè delle oscillazioni del prezzo o del tasso di interesse di un qualsiasi titolo quale misura approssimata del suo rischio; si è spiegato il concetto di diversificazione del rischio, una strategia tra le più efficaci per evitare di perdere tutti i propri risparmi, investiti spesso totalmente e lasciati in balia dell’andamento di un solo titolo (vedere il caso delle obbligazioni subordinate).

Si è mostrato in cosa le famiglie italiane investono i propri risparmi. Molte di esse (i tre quarti) non investono in azioni e obbligazioni, ma solamente in depositi bancari e conti correnti (vedere Figura 1). Le motivazioni sono varie, tra cui parametri come la facilità di usare tali strumenti come mezzo di pagamento e la loro maggiore sicurezza. Soprattutto, tuttavia, si è evidenziata la scarsa presenza di un sistema di consulenza finanziaria indipendente dal sistema bancario. Le banche in Italia, essenzialmente, dominano il panorama dell’offerta di prodotti finanziari ai risparmiatori, proponendo strumenti che in alcuni casi soddisfano più le proprie esigenze di guadagno che quelle del risparmiatore.

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Figura 1: “Diffusione della attività finanziarie nel periodo 2000-2012”. Da “Supplementi al Bollettino Statistico: i bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2012”, Banca d’Italia, 27 Gennaio 2014.

 

 

Secondo un recente studio dell’Ufficio Studi CGIA (su dati della Banca Centrale Europea) è emerso come i clienti italiani siano i più tartassati in Europa, per quel che riguarda il costo di conti correnti, carte di credito e altri servizi bancari. Le banche durante la crisi hanno visto ridursi considerevolmente i guadagni provenienti dall’erogazione del credito, riversando gli oneri di tale situazione in parte sui contribuenti (aumentando le commisioni bancarie etc… ), in parte investendo in attività extra-creditizie e di trading finanziario (acquisto massiccio di titoli di Stato).

Per poter trattare più approfonditamente la situazione in cui versa attualmente il sistema bancario, si è voluto ricapitolare i principali avvenimenti che in questi anni hanno riguardato l’economia, a partire dalla crisi economica del 2007. Si è dimostrato come quest’ultima sia stata causata da una pessima gestione del credito bancario, attraverso la concessione di mutui a una platea di soggetti con passate insolvenze o in estrema difficoltà finanziaria (senza lavoro e senza patrimoni). Si è parlato quindi dei cosiddetti “mutui subprime”.

In seguito all’esplodere di una bolla immobiliare e degli eccessi legati al mondo della finanza (con cui i mutui erano stati trasformati in prodotti noti come “derivati”), la crisi si propaga nel resto del mondo , e nell’economia reale.

Si è parlato allora della successiva fase della crisi economica, che stavolta ha visto coinvolto solamente il Vecchio Continente, in primis quelle economie con elevati squilibri di bilancio: la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo e infine anche Spagna e Italia. L’incertezza legata alla entità dei deficit (disavanzi eccessivi nei bilanci dello Stato),alla sostenibilità del debito pubblico e alla dubbia capacità del governo allora vigente di rassicurare i mercati circa la solidità dell’economia italiana, provoca il cambio di governo e la nomina del governo “tecnocratico” di Mario Monti nel 2011.

L’applicazione di una vera e propria “austerity” e di manovre volte a riaggiustare i nostri conti pubblici da un lato riescono a placare le speculazioni circa la capacità del nostro Paese di ripagare il suo debito pubblico, un salvataggio in extremis dal “default” (fallimento) del nostro debito. D’altro lato tuttavia l’Italia entra in una nuova fase di recessione economica.

In questo frangente, le banche italiane hanno visto triplicare le proprie sofferenze, quelle esposizioni nei confronti di soggetti in stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili. A livello nazionale, nel 2015 il 16,7% del totale dei crediti bancari sono da ritenersi in generale deteriorati (cioè che non riescono a ripagare il capitale e gli interessi dovuti ai creditori). Essi costituiscono il 28% del totale dei crediti deteriorati in Europa (detenuti dalle 105 banche più importanti esaminate dall’European Banking Authority).

Ci sarebbe da ritenere che la crisi delle aziende e delle piccole e medie imprese in Italia abbia colpito duramente il sistema bancario, riducendo i suoi guadagni dalle attività creditizie.

Ciò è solo parzialmente esatto. In realtà è emerso, secondo le elaborazioni del Centro studi di Unimpresa sui dati Banca d’Italia (aggiornato a novembre 2015), che il 70,35% delle sofferenze bancarie è attribuibile ad appena il 2,63% della clientela. Si tratta sempre di grandi prestiti, con cifre superiori ai 500.000€. Emerge quindi una forte concentrazione dei prestiti deteriorati attorno a un ristretto gruppo di soggetti e contestualmente una certa dose di responsabilità da parte dei dirigenti bancari per quel che riguarda la politica di assegnazione dei crediti (per esempio critiche circa l’oggettività della loro attribuzione in Banca Popolare di Vicenza erano state mosse da Banca d’Italia). I dati sono riportati nella Figura 2.

 

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Figura 2: “Sofferenze bancarie divise per numero clienti e dimensione dei prestiti”

 

Restando sempre in tema di cifre, risulta secondo studi della CGIA di Mestre che l’80% del valore complessivo finanziamenti (deteriorati e non) in Italia è stato erogato al 10% della clientela. Secondo le parole di Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi: “il nostro sistema è molto polarizzato… la stragrande maggioranza della clientela [artgiani, negozianti, piccole imprese ndr.] si sono visti ridurre drasticamente l’offerta creditizia… mentre alle poche grandi imprese presenti nel Paese viene riservato un trattamento del tutto ingiustificato.”

La parte finale della presentazione è stata dedicata agli scandali che hanno visto coinvolte quattro banche popolari (Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara). Ci si è soffermati sui rischi relativi all’offerta pubblica ai risparmiatori delle cosiddette “obbligazioni subordinate”: obbligazioni il cui rimborso, in caso di fallimento dell’ente emittente, avviene successivamente a quello dei creditori ordinari.

Sono stati dati una serie di utili consigli al fine di riconoscere tali prodotti al di là dei tecnicismi e delle negligenze nell’esposizione del rischio che erano presenti nei prospetti informativi di queste quattro banche. Si è evidenziata la loro rischiosità in confronto alle obbligazioni ordinarie e alcune caratteristiche tecniche del titolo.

Come ultimo argomento si è affrontata la nuova normativa del “Bail in”, in vigore dal 1 gennaio 2016, in virtù della quale le perdite delle banche, fino a un limite massimo dell’8% delle passività, devono ricadere sui creditori invece di essere coperte con salvataggi da parte dello Stato. In particolare in un salvataggio bancario sono coinvolti in ordine di precedenza: tutti gli azionisti della banca, gli obbligazionisti subordinati, quelli ordinari, e infine i correntisti per l’ammontare eccedente i 100.000 € (fino ai 100.000€ di deposito si è coperti dal Fondo di garanzia dei depositi).

In generale nel corso della presentazione sono stati dati una serie di consigli su quali criteri generali seguire per investire su prodotti finanziari e a cosa bisogna stare attenti qualora il proprio istituto bancario vi proponesse di sottoscrivere tali prodotti.

Essi vengono di seguito riassunti:

  • Leggere attentamente le indicazioni riportate sul prospetto informativo (che deve essere obbligatoriamente emesso pena nullità del contratto) nella sezione riguardante la rischiosità dello strumento finanziario.
  • Diversificare gli investimenti (non investire tutti i propri risparmi per esempio solo in azioni o solo in obbligazioni subordinate).
  • Rivolgersi per investimenti finanziari a consulenti finanziari seri e possibilmente indipendenti.
  • Pensare di rivolgersi anche alle offerte di altre banche rispetto a quella di fiducia nel caso vi “consiglino vivamente” di sottoscrivere titoli di cui non vi sentite pienamente sicuri.
  • Informarsi possibilmente circa la solidità della propria banca (es: facendo ricerche su internet), sempre considerando che in Italia ci sono banche solide, ma purtroppo anche banche meno solide.