La documentazione e la romanizzazione
Titolo: Vertemate e Minoprio in età romana
Autore: Fulvia Butti
Data: 2017
La documentazione d’età romana riguardante Vertemate è scarsa, ma il centro è inserito in un territorio fitto di rinvenimenti, che ci consentono comunque di delineare un quadro della vita dell’epoca.
C’é un “reperto” che è sopravvissuto ed è “sotto gli occhi” di molti abitanti, se non usato quotidianamente da loro: è la strada Comasina, che ricalca in parte il tracciato di una via romana collegante Como e Milano. Inizialmente si svolgeva sulla riva destra del fiume Seveso (Fino Mornasco, Vertemate, Cermenate, Lentate), passava poi sulla sinistra a Seveso (o Cesano Maderno) e toccava Binzago, Bovisio Masciago, Varedo, Palazzolo, Paderno Dugnano; a Cusano passava di nuovo sulla sponda destra e raggiungeva Milano. Questo percorso non era l’unico a collegare le due città, ma certamente era veloce e semplice. Il sistema stradale era un elemento fondamentale della romanità, la costruzione di strade consentiva naturalmente lo spostamento delle persone ed il fluire delle merci, ma anche il veloce trasferimento degli eserciti che assicuravano la difesa e la pace. Le strade erano ben costruite, in modo da essere percorribili in tutte le stagioni e da non interrompere così le comunicazioni, ed erano un segno di civiltà, di potere e dell’ordine che i Romani avevano imposto e garantivano.
Spesso si raccordava al sistema viario un altro elemento fondamentale dell’intervento romano sui territori conquistati: la centuriazione, consistente in un intervento di parcellizzazione e razionalizzazione effettuato nelle zone pianeggianti, in sintonia naturalmente con il sistema idrografico, in modo da favorire il deflusso delle acque. L’assegnazione degli appezzamenti ai coloni aveva anche una funzione catastale, poiché serviva a stabilire le tasse da pagare. Le linee ortogonali della centuriazione sono ancora visibili nella Pianura Padana, ma nel nostro territorio sono leggibili solo in settori limitati. Certamente non era stato possibile effettuare grandi interventi in un territorio così articolato come quello tra Comasco e Milanese, a causa della sua natura variegata con rilievi, zone boschive e paludose, numerosi corsi d’acqua, ma comunque sono intravisibili dei limites in senso Nord-Sud sul terrazzo rissiano tra il Lura ed il Seveso (all’incirca tra Limido, Lomazzo, Saronno e Rho) e dei limites in senso Est-Ovest. Ad esempio sono visibili delle linee divisorie secondarie (limites intercisivi) a est di Rovellasca (Campi della Battù). A nord di Lomazzo e Limido non compaiono più linee centuriali, probabilmente perché il terreno non era adatto alle colture, essendo ricco di ferretto, per cui Vertemate e Minoprio si trovavano all’esterno della zona parcellizzata, e non erano stati interessati dall’intervento.
I coloni a cui venivano fatte le assegnazioni centuriali erano spesso soldati che, concluso il periodo di ferma, si trasformavano così in agricoltori; siccome era usuale che le genti celtiche fossero arruolate negli eserciti romani, durante il servizio militare avveniva un importante processo di integrazione culturale poiché i soldati apprendevano le leggi e le regole romane, la lingua, le tecniche, si avvicinavano ad altre divinità, si assuefacevano a nuovi comportamenti, cibi, abbigliamento, e portavano queste acquisizioni nei villaggi al loro ritorno.
Un altro pilastro della strategia di integrazione era costituita dal ruolo che rivestirono le élites locali, successivamente all’iniziale fase bellica. Nel 194 a.C., infatti, avviene lo scontro decisivo tra i Romani e le tribù celtiche locali, capeggiate dagli Insubri; anche i Comenses partecipano a questa coalizione, che viene sconfitta e stipula con i vincitori un foedus (= un patto), di cui non conosciamo dettagliatamente i termini, ma che verosimilmente comportava il pagamento di tributi e l’invio di truppe.
Un’altra tappa fondamentale del processo di romanizzazione avviene nell’89 a.C., quando le popolazioni locali ottengono il “diritto latino”, cioè viene accettato che i rapporti tra loro e Roma siano regolati dalle stesse norme delle popolazioni latine, e che vengano garantite le stesse opportunità. Questo è un importante passaggio, perché gli individui che avevano ricoperto cariche amministrative locali diventano cittadini romani, cioè avevano i medesimi diritti di un abitante di Roma. Sono perciò proprio queste élites a diventare protagoniste del processo di romanizzazione: acquisiscono la cultura dei conquistatori, la diffondono nelle comunità e spesso sposano individui provenienti dalla penisola.
L’acculturazione avveniva così gradualmente e senza imposizioni violente, tanto che oggi viene usata la definizione di selfromanisation, cioè di “autoromanizzazione”, per indicare il processo di integrazione delle comunità celtiche nella civiltà romana.
Nel 49 a.C. gli abitanti dell’Italia settentrionale diventano “romani” e Como diventa un municipium, adottando nuove strutture amministrative, leggi, divinità, e fornendosi urbanisticamente di tutte le strutture caratteristiche di una città romana: mura, Foro, Capitolium (dove si onorano Giove, Giunone, Minerva), Curia, Basilica, terme, teatro, ecc. Non si tratta però più della città di cui si è parlato nella pubblicazione precedente, insediata sulle colline della Spina Verde e costruita con materiali deperibili (legno, paglia, ecc.), ma di una nuova città, Novum Comum, edificata in pietra sulle rive del Lario, in seguito alla deviazione dei fiumi Cosia e Valduce. Da questo momento i Comenses sono a tutti gli effetti cittadini romani, ma, se legalmente ed “ufficialmente” non sono dissimili da un abitante dell’Urbs, si sa che spesso l’integrazione conserva delle sacche di resistenza, degli ambiti nella vita quotidiana, nei cibi, nei comportamenti ancorati alla cultura precedente, con cui è più difficile la cesura …